DI MICHELE PASSIONE
Il prossimo 26 maggio la Corte costituzionale è chiamata a decidere della questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222 cod. pen., nonché dell’art. 3 ter del D.L. n.211/2011, convertito con modificazioni dalla L. n. 9/2012, come modificato dall’art.1, comma 1, lett.a), D.L. n.52/2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 81/2014, n relazione agli artt. 27 e 110 Cost., nella parte in cui, attribuendo l’esecuzione del ricovero presso una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) alle Regioni ed agli organi amministrativi da esse coordinati e vigilati, escludono la competenza del Ministro della Giustizia in relazione all’esecuzione della detta misura di sicurezza detentiva provvisoria, nonché nella parte in cui consentono l’adozione con atti amministrativi di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza in violazione della riserva di legge in materia, rispetto a quanto previsto dagli artt. 2, 3, 25, 32 e 110 Cost.
Come un albero nel deserto
Come un trucco non ancora scoperto
Come una cosa che era meglio non fare
Come il cadavere di una stella, sulla schiuma del mare[1].
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il caso. – 3. L’ordinanza di rimessione e le considerazioni in proposito.
- Premessa.
“Te meno perché se te do ‘na pizza il primario dove stavo m’ha detto che c’ho ragione”; questa la grave minaccia dell’imputato posta in essere nei confronti di un Sindaco, che il primo “tentava di aggredire nel suo ufficio per poi lanciargli contro un cartoccio di vino senza colpirlo [….] per costringerlo a compiere un atto dell’ufficio ed in particolare per indurlo a garantirgli la consegna di buoni alimentari”.
Anche per evitare il pericolo di questa hybris giudiziaria[2], contrapposta all’equilibrio (che dovrebbe contraddistinguere il diritto), proporzione e misura di dike[3], la proposta di riforma (art.204 bis c.p.) licenziata dalla Commissione Pelissero prevedeva che “le misure di sicurezza non possono comportare restrizioni sproporzionate rispetto alla gravità del fatto e devono risultare adeguate alle esigenze di prevenzione, educazione e cura, mediante il ricorso agli interventi previsti per ciascuna di esse. In ogni caso, la misura di sicurezza applicata deve comportare il minore sacrificio possibile della libertà personale”.
Sappiamo com’è andata a finire, e dunque non stupisce se ancora una volta la L.n.81/2014 subisce un tagliando, dopo l’infruttuoso tentativo[4] posto in essere dal Tribunale di Sorveglianza di Messina, che nell’occorso rilevò il contrasto di una (diversa) disposizione della L.n.81/2014 con ben tredici parametri costituzionali.
Ma andiamo con ordine.
- Il caso.
Una persona indagata per il delitto sopra indicato, nonché della contravvenzione di procurato allarme (che non consente applicazione di misura di sicurezza per le persone inferme di mente) veniva sottoposta ad accertamenti tecnici e dichiarata incapace di intendere e di volere, siccome affetta da psicosi schizo-affettiva con personalità con tratti antisociali e dedita al sistematico abuso di alcolici. Si rilevava altresì che “il soggetto non aveva coscienza di malattia, aveva sempre rifiutato le cure e non collaborato con i servizi preposti e, pertanto, presentava un rischio psicopatologico rilevante in termini di pericolosità sociale e necessitava di cure ad elevata intensità terapeutica”.
Richiesta e disposta la misura di sicurezza del ricovero in REMS, rispettando il criterio della territorialità, la stessa non veniva eseguita per assenza di posti; il DAP precisava che, come previsto dal decreto 1.10.2012, emanato dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro della Giustizia, le REMS sono ad esclusiva gestione sanitaria ed il trattamento delle persone sottoposte alla misura di sicurezza detentiva è affidato al Servizio Sanitario Regionale. Si prevedeva dunque l’applicazione temporanea della libertà vigilata con prescrizioni idonee ad evitare occasioni di nuovi reati; anche detta misura non trovava applicazione, vuoi perché l’indagato rifiutava il ricovero residenziale o se ne allontanava senza sottoporsi a terapia, sia perché anche le strutture intermedie individuate (non preposte all’esecuzione delle misure di sicurezza) in alcuni casi erano prive di posti letto. Seguivano alcuni ricoveri in SPDC, anche con proposta di TSO.
Successivamente, dopo numerosi solleciti, il PM rinnovava la richiesta al DSM di indicazione di una REMS per l’esecuzione della misura di sicurezza provvisoria dando atto della fase di stallo in cui ci si trovava, non essendosi potuta eseguire neanche la misura gradata per le ragioni sopra indicate. Esercitata l’azione penale, in attesa di emissione del decreto di citazione a giudizio, veniva revocata la misura di sicurezza provvisoria della libertà vigilata per le plurime e gravi trasgressioni commesse e rinnovata la richiesta primigenia al Gip.
- L’ordinanza di rimessione (Ord. 110/2020, udienza 26 maggio 2021, rel. Viganò). Le doglianze del Giudice a quo e le considerazioni in proposito.
Se in precedenza gli strali del Tribunale siciliano si appuntarono sui ritenuti ingiustificati vincoli alla discrezionalità giudiziaria per la prognosi di pericolosità alla base della misura di sicurezza, il rimettente laziale, dopo aver descritto il complesso iter normativo che ha condotto alla riforma, questa volta censura altro tipo di ostacolo, frapposto al Ministro della Giustizia “al quale spettano ai sensi dell’art.110 Cost. l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, con le relative responsabilità”.
Di più, il Gip di Tivoli osserva come “un ulteriore indicatore della esclusiva attribuzione del Ministro della Giustizia in materia di misure di sicurezza si trae dall’art.117 secondo comma Cost, che nel ripartire le competenze legislative tra lo Stato e le Regioni prevede che spetti allo Stato la legislazione esclusiva in materia di: h) ordine pubblico e sicurezza…i) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale” (cfr. § 32 qlc.).
Sul punto, va in primo luogo rilevato come il parametro contenuto nel Titolo V non risulti tra quelli che si assumono violati, ex art.23, comma 2, L.n.87/53, ciò che pone evidenti ostacoli al sindacato della Corte.
Com’è noto, infatti[5], “dal principio in base al quale la Corte giudica della questione di cui è stata investita si desume non solo che oggetto del giudizio sono, in linea generale, solo le norme denunciate nell’ordinanza, ma altresì che a parametro del giudizio sono da assumere esclusivamente le norme costituzionali nei confronti delle quali la questione è stata proposta, non potendo la Corte – qualora non ravvisi il contrasto con le norme costituzionali invocate – spingersi ad indagare se tuttavia le disposizioni denunciate non contrastino con altre norme costituzionali delle quali non è stata dedotta la violazione, ed ammettendosi solo una qualche possibilità di intervento correttivo dell’eventuale lacuna dell’atto di promovimento mediante il riferimento al parametro implicitamente evocato”.
In disparte la possibilità di utilizzare le pronunce della Corte europea in funzione interpretativa del diritto riconosciuto a livello domestico per significare la censura prospettata (in tal caso venendo in discussione il primo comma dell’art.117 Cost.), non è neanche possibile immaginare soluzione analoga a quella di cui all’ordinanza interlocutoria n.207 del 2018, avendo nell’occorso la Corte ritenuto la possibile lesione del principio della dignità umana, fondamento valoriale ben distinto da una normativa di settore che riparte le competenze tra Stato e Regioni.
In secondo luogo, appare fuorviante (ed espressione plastica della malcelata opinione della materia che ci occupa da parte del giudice a quo) ritenere che la misura di sicurezza (recte: la modalità di esecuzione della stessa in REMS) rientri tra le materie afferenti l’ordine pubblico e la sicurezza, a nulla rilevando la natura penale dell’istituto in sé, che ovviamente non è in discussione.
Se non può revocarsi in dubbio come la mancata esecuzione della misura di sicurezza provvisoria disposta nel caso oggetto della quaestio sia dipesa da condizioni de facto, non potendo rivendicare il destinatario (fermi eventuali rimedi esperibili con le impugnazioni) il diritto al mantenimento in libertà, vi è comunque da chiedersi se la differenza radicale tra “il dentro e il fuori”, valorizzata dalla Corte[6] sia pur ad altri fini, consenta di evitare un intervento che per superare l’empasse delle liste di attesa traghetti il destinatario di una misura di sicurezza coercitiva fuori dal suo territorio e in overcrowding, vieppiù trascurando le disposizioni del DM 1° ottobre 2012, che ha stabilito i requisiti “strutturali, tecnologici e organizzativi” delle REMS in base ai criteri indicati dall’art.3 ter, comma 3, del DL n.211/2011, convertito con modificazioni in L.n.9/2012.
Infatti, se è vero che il soggetto destinatario di una misura di sicurezza in REMS non potrebbe lamentare l’imprevedibile limitazione della sua libertà personale per effetto di una normativa deteriore sopravvenuta, è anche vero che tra i requisiti aggiuntivi del DM figura la previsione che la struttura abbia un massimo di 20 posti letto. Pretermettere detto requisito finirebbe col trasformare la natura stessa della misura, riportandola a logiche incapacitanti e incapaci, appunto, di soddisfare il bisogno di cura cui la riforma è ispirata, non risolvendosi in una mera modifica esecutiva[7].
In ogni caso, ciò che attiene ad ulteriore doglianza del remittente, deve qui evidenziarsi che i criteri di organizzazione delle REMS sono definiti dalla Legge, in modo generale, mentre il DM indica standard sanitari minimi a cui le strutture devono rispondere, e nessuna lesione della riserva di legge può individuarsi attesa la natura di “atto amministrativo di fissazione di criteri unitari in materia di salute, competenza concorrente […] non comportando esso né la modifica di atti legislativi né deroghe ai medesimi”[8] .
Del resto, non è possibile non pensare alle fonti del diritto utilizzate in tutto l’anno trascorso per affrontare la diffusione della pandemia, nel mentre invece si opina sull’improprio utilizzo del DM in subiecta materia.
Se dunque la territorialità e il numero chiuso sono tra i fondamenti di un efficace funzionamento terapeutico nelle REMS[9] non è davvero concepibile immaginare un ritorno al passato, che rimetta in capo al DAP la gestione concreta delle misure di sicurezza.
Così, come se non bastasse l’illegale restrizione della libertà personale di decine e decine di persone, detenute in carcere senza titolo siccome destinatarie di misure di sicurezza ineseguibili[10], la soluzione prospettata (in malam partem[11]) dal giudice a quo aprirebbe la porta a internamenti di massa, riportando ad una logica manicomiale, dimentica dei principi ispiratori della riforma. Dalla sicurezza della cura alla cura della sicurezza.
Sarebbe allora piuttosto il caso di riflettere sulle cause del fenomeno, che si rinvengono nella percentuale prossima al 40% dei presenti in REMS e nelle liste di attesa di soggetti destinatari di misure di sicurezza provvisorie, disposte in dispregio del criterio di extrema ratio previsto dalla L.n.81/2014.
Guardare la luna, piuttosto che il dito.
Al dunque, sebbene la richiesta manipolazione della normativa, la mancata indicazione del verso, l’erronea invocazione di parametri costituzionali (oltre all’art.110, perché il 27 Cost, su cui il Gip, non a caso, non spende una sola parola?) e/o il mero implicito riferimento ad essi, in uno con il tradimento di uno spirito riformatore sotteso alla legge che ha consentito di superare la vergogna degli OPG, permettono di confidare nell’inammissibilità della quaestio, resta l’amaro in bocca della provocazione.
Scrutare all’indietro e nel buio del passato ci serve, serve ancora[12]. Le stesse cose a volte ritornano.
*Avvocato del Foro di Firenze
[1] F. De Gregori, in Mira Mare, 1989.
[2] Secondo P. Martens, Théories du droit et pensée juridique contemporaine, Larcier, Bruxelles, 2003, 181, “quando la forma si distacca dal fondamento al punto da dimenticarlo” accade che “il grado nevrotico del formalismo […] e la burocrazia diventino una delle nevrosi collettive del secolo”.
[3] F. Ost, Il diritto, oggetto di passioni? I crave the law, G. Giappichelli Editore, Torino, 2018, 7.
[4] Cfr. Corte cost, sent.n.186/2015.
[5] V. Manes – V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2019, 260.
[6] Sent.n.32/2020, § 4.3.3. Considerato in diritto.
[7] Secondo P. Martens, L’irrésistible ascension du principe de proportionnalité, in Preésence du droit public et de droits de l’homme, Bruxelles, 1992, 65-66, “l’amore del diritto va ridotto in casi di eccesso, perché il diritto non è che una pellicola sottile sulla superficie delle cose umane”.
[8] K. Poneti, Le Rems in prospettiva costituzionale: sul diritto alla salute contro al potere di rinchiudere, in L’Altro Diritto, 11 maggio 2021.
[9] A. Calcaterra – B. Secchi, La nuova risoluzione del CSM in tema di misure di sicurezza psichiatriche. I protocolli operativi: uno strumento di cooperazione e dialogo ai fini della piena realizzazione dei principi sanciti con la legge 30 maggio 2014 n.81, dettata in tema di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, in Diritto Penale Contemporaneo, 5 novembre 2018
[10] In data 7 aprile 2020, e successivamente il 21 gennaio 2021, la Corte EDU ha emesso due provvedimenti cautelari (Sy c. Italia e Ciotta c. Italia) ex art.39 del Regolamento, in favore di pazienti psichiatrici detenuti in carceri romane, ordinando il loro immediato trasferimento in strutture idonee. Nel secondo caso la Corte (inter alia) ha chiesto al Governo, “having regard to the applicant’s situation in the istant case, as well as to other pending cases concerning the same issues, is that situation indicative of an underlying systemic problem or a structural deficiency regarding the availability of places in REMS facilities, which calls for indication of general measures under artcile 46 of the Convention, as intepreted in the light of Article 1 of the Convention?” In poche parole, il preludio ad una sentenza pilota
[11] Come rilevato da M. Patarnello, Le Rems: uscire dall’inferno solo con le buone intenzioni, in Questione Giustizia, 2 giugno 2020, “si tratterebbe di imprimere alla disciplina una curvatura che potrebbe apparire restrittiva di diritti, se non propriamente securitaria”, sebbene poi l’autore plauda all’incidente di costituzionalità in commento. Con note adesive alla qlc, cfr. anche G. Nicolò, Rems, oltre le buone intenzioni, no al ritorno al passato e problema di legittimità costituzionale. Quindi quale futuro?, in Questione Giustizia, 4 febbraio 2021. Contro questa lettura, cfr. A. Calcaterra, Misura di sicurezza con ricovero in REMS: il ritorno al passato no!, in Diritto Penale e Uomo, 12 giugno 2020; P. Pellegrini, Liste di attesa per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive: analisi e possibili soluzioni, in Diritto Penale e Uomo, 23 marzo 2021; volendo, M. Passione, Questione di Giustizia, in La Società della ragione, 19 febbraio 2021.
(pubblicato su Diritto di Difesa in data 18 maggio 2021 al seguente link )
[12] D. Mencarelli, Tutto chiede Salvezza, Mondadori, Milano, 2020, 130, “mi sono ferito con tutta la vita che potevo, per giungere qui, ora, con una sola certezza da difendere. Tutto quello che ho vissuto, tanto o poco che sia, non è la preda che cerco […] tutto mi chiede salvezza. Per i vivi e i morti., salvezza”.